martedì 24 novembre 2009

La Menzogna della Settimana



La Menzogna della Settimana:

L'immunità di Chirac è uguale al Lodo AlfanoCondividi
Oggi alle 8.53 - di Simone Pomi -

Dopo il rinvio a giudizio dell'ex presidente della Repubblica Francese Jacques Chirac tutta la cavalleria berlusconiano-mediatica ha iniziato a ripetere la solita solfa prestabilita: L'immunità serviva alla Francia per permettere al suo Presidente di lavorare in pace e serenità, la stessa cosa che si è fatta in Italia con il Lodo Alfano e che la Corte Costituzionale invece ha cancellato. Chirac è indagato per delle false assunzioni effettuate quando era sindaco di Parigi ( 1995/1996). Come Presidiante della Repubblica transalpina ottenne l'immunità che blocco sul nascere il suo contenzioso con la giustizia per i 12 anni successivi, bloccando anche la loro prescrizione. Tutto vero e cosi simile all'Italia e di conseguenza allora ingiustamente inserito nella rubrica “ la menzogna della settimana”?



No. Questa volta la situazione è diversa, quasi opposta ed è quella di un fatto vero(il paragone tra l'immunità francese e il Lodo Alfano) alla deriva in un mare di menzogne ( il contesto molto diverso dei due paesi).



Il primo punto è la carica pubblica dei due interessati. Chirac era Presidente della Repubblica, Berlusconi presidente del consiglio. In Francia l'immunità è solo per il capo di stato e siccome la differenza tra le due repubbliche avvicina molto “ il loro potere esecutivo” ecco altre motivazioni più convincenti e meno burocratiche.
Il secondo punto sono il tipi di reati contestati ad entrambi e la connessione al proprio ruolo. Chirac è indagato per presunti “crimini politici” derivanti dal suo mandato di sindaco della capitale francese. Non certo una scusa ma assai differente dai vari reati contestati a Berlusconi, la quasi totalità dei quali compiuti da imprenditore e non connesse al suo ruolo o vita da politico.
Il terzo punto subito collegabile al secondo è la cronologia degli eventi. Chirac fu raggiunto da queste indagini nel 1997 quando era in pieno mandato presidenziale. Berlusconi è stato molte volte indagato e rinviato a giudizio prima che fosse eletto premier, come per esempio nel recente caso Mills.



Quarto e ultimo punto è l'utilizzo del proprio ruolo per ottenere “privilegi” e di conseguenza vie brevi per salvarsi dai proprio guai giudiziari.
Chirac nel suoi 12 anni da Presidente non si è mai sognato di fare legge che depenalizzassero il suo reato o che solamente ne dimezzassero la prescrizione. Il Cavaliere e i suoi governo invece negli ultimi 15 anni hanno fatte pure troppi di questi abusi:

Legge n. 367/2001. Rogatorie internazionali.

Legge n. 383/2001 (cosiddetta "Tremonti bis").

Legge n.61/2001 (Riforma del diritto societario).

Legge 248/2002 (cosiddetta "legge Cirami sul legittimo sospetto")


Decreto legge n. 282/2002 (cosiddetto "decreto salva-calcio").

Legge n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003).

Legge n.140/2003 (cosiddetto "Lodo Schifani").

Decreto-legge n.352/2003 (cosiddetto "Decreto-salva Rete 4").


Legge n.350/2003 (Finanziaria 2004). Legge 311/2004 (Finanziaria 2005).


Legge 112/2004 (cosiddetta "Legge Gasparri").


Legge n.308/2004. Estensione del condono edilizio alle aree protette.


Legge n. 251/2005 (cosiddetta "ex Cirielli").


Decreto legislativo n. 252 del 2005 (Testo unico della previdenza complementare).


Legge 46/2006 (cosiddetta "legge Pecorella").


Legge n.124/2008 (cosiddetto "lodo Alfano").


Decreto legge n. 185/2008.


Aumento dal 10 al 20 per cento della quota di azione proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio.

Disegno di legge sul "processo breve".
( in progetto)
( fonte e maggiore spiegazione)

Ecco nei fatti come un sola verità venga rigirata e usata per far ingoiare al cittadino una valanga di menzogne incredibili.
Risvegliati Italia!

http://2piu2uguale5.ilcannocchiale.it/post/2385047.html


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POLITICA.
L'ex presidente: "Io non uso aderire ad appelli, ma condivido quello di Saviano"
Preoccupato per la salute della nostra democrazia: "Manipolazione delle regole"
Ciampi: "Basta leggi ad personam
Berlusconi delegittima le istituzioni"
di MASSIMO GIANNINI


Carlo Azeglio Ciampi
«Viviamo un tempo triste. Negli anni finali della mia vita, non immaginavo davvero di dover assistere ad un simile imbarbarimento dell'azione politica, ad una aggressione così brutale e sistematica delle istituzioni e dei valori nei quali ho creduto...». La prima cosa che colpisce, nelle parole di Carlo Azeglio Ciampi, è l'amarezza. Un'amarezza profonda, sul destino dell´Italia e sulle condizioni della nostra democrazia.

E mai come in questa occasione l'ex capo dello Stato, da vero "padre nobile" della Repubblica, lancia il suo atto d'accusa contro chi è responsabile di questo "imbarbarimento" e di questa "aggressione": Silvio Berlusconi, il suo governo e la sua maggioranza, che stanno abbattendo a "colpi di piccone" i principi sui quali si regge la Costituzione, cioè "la nostra Bibbia civile".

"Vede - ragiona Ciampi - la mia amarezza deriva dalla constatazione ormai quotidiana di quanto sta accadendo sulla giustizia, ma non solo sulla giustizia. È in corso un vero e proprio degrado dei valori collettivi, si percepisce un senso di continua manipolazione delle regole, una perdita inesorabile di quelli che sono i punti cardinali del nostro vivere civile". Vale per tutto: non solo i rapporti tra politica e magistratura. Le relazioni tra potere esecutivo e Parlamento, tra governo e presidenza della Repubblica, tra premier e organi di garanzia, a partire dalla Corte costituzionale. L'intero sistema istituzionale, secondo Ciampi, è esposto ad un'opera di progressiva "destrutturazione". "Qui non è più una questione di battaglia politica, che può essere anche aspra, come è naturale in ogni democrazia. Qui si destabilizzano i riferimenti più solidi dell'edificio democratico, cioè le istituzioni, e si umiliano i valori che le istituzioni rappresentano. Questa è la mia amara riflessione...".

Ciampi, forse per la prima volta, parla senza mezzi termini del Cavaliere, e di ciò che ha rappresentato e rappresenta in questo "paesaggio in decomposizione". "Mi ricordo un bel libro di Marc Lazar, uscito un paio d'anni fa, nel quale io e Berlusconi venivamo raccontati come gli estremi di un pendolo: da una parte Ciampi, l'uomo che difende le istituzioni, e dall'altra parte Berlusconi, l'uomo che delegittima le istituzioni. Mai come oggi mi sento di dire che questa immagine riassume alla perfezione quello che penso. Io ho vissuto tutta la mia vita nelle istituzioni e per le istituzioni, che sono il cuore della democrazia. E non dimentico la lezioni di Vincenzo Cuoco sulla Rivoluzione napoletana del 1797: alla felicità dei popoli sono più necessari gli ordini che gli uomini, le istituzioni oltrepassano i limiti delle generazioni. Ma poi, a rendere vitali le istituzioni, occorrono gli uomini, le loro passioni civili, i loro ideali di democrazia. Ed io, oggi, è proprio questo che vedo mancare in chi ci governa...".

L'ultimo capitolo di questa nefasta "riscrittura" della nostra Costituzione formale e materiale riguarda ovviamente la giustizia, il Lodo Alfano e ora anche il disegno di legge sul processo breve con il quale il premier, per azzerare i due processi che lo riguardano, fa terra bruciata dell'intera amministrazione giudiziaria corrente. Anche su questo la condanna di Ciampi è senza appello: "Le riforme si fanno per i cittadini, non per i singoli. L'ho sempre pensato, ed oggi ne sono più che mai convinto: basta con le leggi ad personam, che non risolvono i problemi della gente e non aiutano il Paese a migliorare". Fa di più, l'ex presidente della Repubblica. E si spinge a riflettere su ciò che potrà accadere, se e quando questa nuova legge-vergogna sarà approvata: "Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all'opinione pubblica". Ciampi non nomina Napolitano, ma fa un riferimento implicito a Francesco Saverio Borrelli: "Credo che per chi ha a cuore le istituzioni, oggi, l'unica regola da rispettare sia quella del "quantum potes": fai ciò che puoi. Detto altrimenti: resisti".

Lui stesso, nel suo settennato sul Colle, ha resistito più volte alle spallate del Cavaliere. Dalla legge Gasparri per le tv alla riforma dell'ordinamento giudiziario di Castelli: "È vero, ma ho fatto solo il mio dovere. C'è solo una cosa, della quale mi rammarico ancora oggi: il mio unico messaggio alle Camere, quello sul pluralismo del sistema radiotelevisivo e dell'informazione. Allora era un tema cruciale, per la qualità della nostra democrazia. Il Parlamento non lo raccolse, e da allora non si è fatto niente. Oggi, e basta guardare la televisione per rendersene conto, quel tema è ancora più grave. Una vera e propria emergenza".

Ma in tanto buio, secondo Ciampi c'è anche qualche spiraglio di luce. Per esempio l'appello lanciato su "Repubblica" da Roberto Saviano, che chiede al premier di ritirare la legge sull'abbreviazione dei processi, la "norma del privilegio". "Io - commenta il presidente emerito della Repubblica - per il ruolo che ho ricoperto non uso firmare appelli. Ma condivido dalla prima all'ultima riga quello di Saviano. Risponde a uno dei principi che mi hanno guidato per tutta la vita. E il fatto che abbia ottenuto così tante adesioni rappresenta una speranza, soprattutto per i giovani. È il vecchio motto dei fratelli Rosselli: non mollare. Loro pagarono con la vita la fedeltà a questo principio. Qui ed ora, in Italia, non c'è in gioco la vita delle persone. Ma ci sono i valori per i quali abbiamo combattuto e nei quali abbiamo creduto. In ballo c'è la buona democrazia: credetemi, è abbastanza per non mollare".

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Quel grillino di Carlo Azeglio
di Marco Travaglio
Ahiahiahi, signora Longari, dove andremo a finire. Ora lo dice anche un presidente emerito della Repubblica, già governatore della Banca d’Italia, senatore a vita, che Giorgio Napolitano dovrebbe o almeno potrebbe smettere di firmare leggi vergogna. Parla un signore che alcune le rispedì al mittente, come la Gasparri-1 sulle tv, l’ordinamento giudiziario Castelli e la Pecorella (che aboliva l’appello del pm, ma non dell’imputato). Ma altre, come il decreto salva-Rete4 che consentiva a Berlusconi di evitare lo spegnimento della sua tv abusiva (previsto dalla sentenza della Consulta del 2002) e fu firmato alla vigilia del Natale 2003 dallo stesso beneficiario, le promulgò. Ma anche per lui c’è un limite a tutto. Anche all’indecenza. “Io – premette nell’intervista a Repubblica – non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale”. Poi però li dà eccome: “Il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va, non si firma”. L’articolo 74 della Costituzione dice proprio così: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”. Non precisa che, per essere respinta, debba essere “manifestamente incostituzionale”, come invece sostiene l’attuale inquilino del Quirinale. Il 23 luglio 2008, quando in meno di 24 ore promulgò la legge Alfano varata in 25 giorni da Camera e Senato per regalare l’impunità al premier, il Colle emise uno stravagante comunicato: “Punto di riferimento per la decisione del Capo dello Stato è stata la sentenza n. 24 del 2004 con cui la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 140 del 20/6/2003 (il lodo Schifani, ndr) che prevedeva la sospensione dei processi che investissero le alte cariche dello Stato. A un primo esame, quale compete al capo dello Stato in questa fase, il ddl approvato il 27 giugno dal Consiglio dei ministri è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza”. Ora sappiamo che non era vero niente: la Consulta ha bocciato l’Alfano proprio richiamandosi alla sentenza che bocciava la Schifani e che non diceva ciò che le faceva dire il Quirinale. Diversamente dal Colle, se n’erano accorti fin da subito 100 giuristi di chiara fama e quattro presidenti emeriti della Consulta in un appello che definiva l’Alfano “manifestamente incostituzionale”; ma anche comici come Grillo, politici come Di Pietro, direttori di giornale come Flores d’Arcais e Padellaro. Quest’ultimo espresse “profondo disagio” sull’Unità, beccandosi le rampogne del Pd, del Riformatorio, del Pompiere della Sera e di tutti i tromboni del “non tirare la giacchetta al capo dello Stato”. Baggianate che son tornate a risuonare quando Il Fatto Quotidiano ha inviato al Quirinale le firme di 80 mila lettori sotto l’appello a non firmare la vergogna mafiosa dello scudo fiscale. Risultato: l’ufficio stampa del Quirinale ci inviò una letterina piccata (come vi siete permessi?). Intanto il capo dello Stato redarguiva un cittadino che osava domandargli perché firmasse tutto: “Tanto, se non firmo una legge, me la rimandano uguale”. Ora Ciampi, noto piromane, invita a “resistere”: “Non si deve usare come argomento che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura, per lanciare un segnale forte a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica”. Anche perché, se una legge resta incostituzionale anche in seconda lettura, il presidente può comunque rifiutare di promulgarla e dimettersi. La Costituzione è un po’ più importante di una poltrona.

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