TORINO - Un giorno d' estate di metà anni 80 Luigi Firpo se ne stava in poltrona nella sua villa sulla collina torinese con la moglie Laura. Faceva zapping in tv. Su Canale 5 una graziosa signorina intervistava il padrone, Silvio Berlusconi. E ne magnificava l' enorme bagaglio culturale: «Lei è anche un grande studioso dei classici~». Il Cavaliere si schermiva: «Ma no, non dica così~». E lei: «Sì, invece, non faccia il modesto. Lei, dottore, ha appena pubblicato un' edizione pregiata dell' Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino~». E lui: «Beh, in effetti il latino non lo conosciamo tutti, bisogna tradurlo~». Firpo, grande intellettuale torinese, polemista della Stampa con i suoi "Cattivi pensieri", ma soprattutto docente universitario di Storia delle dottrine politiche e fra i massimi esperti di cultura rinascimentale, drizzò le antenne. Anche perché aveva da poco tradotto e commentato un' edizione dell' "Utopia" per l' editore Guida di Napoli. L' intervistatrice attaccò a leggere la prefazione del Cavaliere. Dopo le prime due frasi, l' anziano studioso fece un salto sul divano: «Ma quella prefazione è la mia! E' tutta copiata! Ma chi è questo signore? Ma come si permette?». L' episodio è tornato in mente a Laura Salvetti, la vedova di Firpo, qualche giorno fa, quando Silvio Berlusconi in una delle sue tele-esternazioni elettorali si è così descritto in terza persona: «Il presidente del Consiglio si è nutrito di ottime letture e ha un curriculum di studi rilevantissimo...». E' corsa in archivio, ha estratto una cartella intitolata "Berlusconi", ne ha cavato uno strano bigliettino autografo del Cavaliere e ha deciso di raccontarne il retroscena.
UNA STORIA VERA :
BERLUSCONI
E
IL PLAGIO.
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TENTATIVI DI METTERE A TACERE LA STORIA
ovvero
Il Cavaliere e il libro copiato allo storico
Così mio marito Firpo lo smascherò
«Era subito dopo le vacanze estive, credo in settembre. Firpo (lei lo chiama rispettosamente così, ndr), quando scoprì in tv che Berlusconi aveva copiato la sua versione dell' Utopia, si attaccò subito al telefono per avere quel libro. Gli risposero che era un' edizione privata, in pochi esemplari, riservata all' entourage del Cavaliere. Ma lui, tramite l' associazione milanese degli Amici di Thomas More, riuscì a procurarsi una copia in visione. La sfogliò e sbottò: "Non è un plagio, è peggio! Quello ha copiato interi brani della mia prefazione e la mia traduzione integrale dal latino, mettendoci la sua firma. Non ha cambiato nemmeno le virgole!". Prese carta e penna e scrisse a Berlusconi, intimando di ritirare subito tutte le copie e annunciando che avrebbe sporto denuncia.
Qualche giorno dopo squillò il telefono di casa: era Berlusconi». A questo punto inizia un irresistibile balletto telefonico, con il Cavaliere che cerca scuse puerili per placare l' ira dell' austero cattedratico, e questi che, sbollita la furia, si diverte a giocare al gatto col topo. Firpo minaccia di mettere in piazza tutto e trascinarlo in tribunale. «Berlusconi - ricorda la moglie - incolpò subito una collaboratrice, che a suo dire avrebbe copiato prefazione e traduzione a sua insaputa. E implorò Firpo di soprassedere, pur precisando di non poter ritirare le mille copie già stampate e regalate ad amici e collaboratori. Firpo, capito il personaggio, cominciò a divertirsi alle sue spalle. Lo teneva sulla corda con la causa giudiziaria. E Berlusconi continuava a telefonare un giorno sì e un giorno no, con una fifa nera. Pregava di risparmiarlo, piagnucolava che uno scandalo l' avrebbe rovinato». Pure Franzo Grande Stevens, famoso avvocato e consigliere di casa Agnelli, che di Firpo era amico anche per via della comune candidatura nel Pri, seguì la faccenda da vicino: «Firpo mi raccontò di quel plagio. Era esterrefatto. Anche perché Berlusconi, anziché scusarsi, dava la colpa a una segretaria. Poi cercò di rabbonirlo con regali costosi, che il professore rispedì sdegnosamente al mittente». «Passava - ricorda la moglie Laura - intere mezz' ore al telefono col Cavaliere. E alla fine correva a raccontarmele, fra l' indignato e il divertito: sapessi quante barzellette conosce quel Berlusconi. E' un mercante di tappeti, una faccia di bronzo da non credere, sembra di essere in una televendita». Il tira e molla si trascinò per mesi. Anche con uno scambio di lettere, ancora riservate (saranno pubbliche solo nel 2009, vent' anni dopo la morte dello studioso). Per ora c' è solo quel bigliettino rimasto nei cassetti della signora Laura, visto che era indirizzato anche a lei: «Accompagnava un doppio regalo per Natale, credo del 1986. Nel frattempo Berlusconi aveva pubblicato un' edizione riveduta e corretta dell' Utopia, senza più la prefazione copiata e con la traduzione di Firpo regolarmente citata. Ma Firpo seguitava a fare l' offeso, ripeteva che la cosa era grave e la stava ancora valutando con gli avvocati . Un giorno lo invitarono a Canale 5 per parlare del Papa e si ritrovò Berlusconi dietro le quinte che gli porgeva una busta con del denaro, "per il suo disturbo e l' onore che ci fa". Naturalmente la rifiutò. Poi a Natale arrivò un corriere da Segrate con un bouquet di orchidee che non entrava neppure dalla porta e un pacco: dentro c' era una valigetta ventiquattr' ore in coccodrillo con le cifre LF in oro». Il biglietto d' accompagnamento è intestato Silvio Berlusconi, datato "Natale 1986" (ma l' ultima cifra è uno scarabocchio) e scritto a penna: "Molti cordiali auguri ed a presto~ Spero! Silvio Berlusconi". Poi una frase aggiunta a biro: "Per carità non mi rovini!!!".
Ma Firpo continuò il suo gioco: «Rispedì la borsa a Berlusconi, con un biglietto beffardo: "Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma gli oggetti di lusso non mi si confanno: sono un vecchio professore abituato a girare con una borsa sdrucita a cui sono molto affezionato. Quanto ai fiori, la prego anche a nome di mia moglie Laura di non inviarcene più: per noi, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi~" Non lo sentimmo mai più». -
MARCO TRAVAGLIO
Repubblica — 23 marzo 2006 pagina 11 sezione: POLITICA INTERNA
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/03/23/il-cavaliere-il-libro-copiato-allo-storico.html
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A Vent'anni dalla morte di Luigi Firpo
di Elia Fiorenza
Il prossimo 2 marzo ricorre il ventesimo anniversario della morte di Luigi Firpo (Torino, 1915 – 1989), uno dei più grandi storici delle dottrine politiche italiane e il massimo studioso del secolo scorso di Tommaso Campanella (Stilo, 1568 – Parigi, 1639), a cui ha dedicato tutta la sua esistenza e cinquant’anni dei suoi studi.
Tale ricorrenza non può essere ignorata dalla Calabria e dalla città di Stilo, che per lungo tempo, fino alla sua morte, hanno occupato un posto importante nel cuore, nella vita e nell’attività scientifica del “professore”, come veniva chiamato, con rispetto e affetto, dai suoi “conterranei” (allo storico, nel 1968, era stata conferita la cittadinanza onoraria di Stilo, mentre nel 2000, alla presenza dell’on.le Agazio Loiero, attuale governatore della Calabria, in quel periodo ministro della Repubblica, e della vedova Laura Salvetti, gli era stata intitolata una via e una piazza).
Ad augurarselo è lo scrittore Claudio Stillitano, studioso del frate domenicano (un suo recente volume, che porta il titolo Il segreto di Campanella ed è stato pubblicato dalle Arti Grafiche Edizioni di Ardore Marina, può considerarsi la prima “tappa” di un percorso di ricerca sull’esoterismo campanelliano), che nei prossimi giorni proporrà al Comune di Stilo alcune iniziative culturali tendenti a commemorare, nel migliore dei modi, l’insigne studioso. Stillitano ebbe ottimi rapporti di amicizia con Luigi Firpo, che il giornalista stilese conobbe nel lontano 1968, in occasione delle manifestazioni promosse per il quarto centenario della nascita del filosofo e che rivide nel 1986, tre anni prima della sua scomparsa: in quest’ultima occasione il docente universitario gli aveva confidato, con grande entusiasmo, di aver rinvenuto dei manoscritti importanti su Campanella, che avrebbe utilizzato per «il libro della sua vita»: una pubblicazione sull’infanzia del “figlio dello scarparo” a cui stava lavorando da parecchio tempo.
Dice Claudio Stillitano, citando il prof. Enzo Baldini: «Luigi Firpo, oltre ad avere avuto una sorprendente somiglianza con il Campanella del ritratto eseguito dal pittore Francesco Cozza, ebbe la vitalità, la personalità carismatica, la memoria prodigiosa, l’ingegno e la tenacia del domenicano. Anzi, possiamo sicuramente affermare che nel Campanella scalzo e povero, che di nascosto ascoltava le lezioni del maestro Agazio Solea, per suggerire poi le risposte ai ragazzi più fortunati, l’illustre studioso intravedeva la sua dura infanzia, cosi come nell’ostinazione del filosofo, che aveva scritto e riscritto trattati, saggi e poesie in condizioni spesso disumane, Firpo vedeva le estenuanti notti trascorse nella sua biblioteca, ma anche i tempi e i modi del proprio lavoro, che lo portavano a scrivere con grande facilità, nelle condizioni e nei luoghi più diversi e disagevoli».
Luigi Firpo fu ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Torino, ma svolse anche l’attività di giornalista e di apprezzato scrittore; fu anche deputato, eletto nelle liste del Partito repubblicano. Svolse quest’ultimo impegno con grande rigore intellettuale e morale, venendo anche alla ribalta nazionale per le sue battaglie contro lo sperpero del denaro pubblico e la inadeguata attenzione, da parte dello Stato, verso le istituzioni culturali (università, musei, archivi pubblici e privati, fondazioni, biblioteche), settori in cui, secondo Firpo, bisognava individuare la rinascita dell’Italia. Rammenta ancora Claudio Stillitano: «Lo avevo sentito per telefono nei giorni successivi alla sua “filippica” contro Roma (da lui definita «un agglomerato informe, violento, godereccio, sfaticato e ingovernabile»”) e l’articolo di Alberto Ronchey, pubblicato il 15 dicembre 1988 sulla prima pagina di Repubblica. Non volle riprendere l’argomento. Disse però che il Parlamento italiano aveva urgentemente bisogno di tanti “Campanella”, che sostituissero «l’amor proprio con il ben comune».
Gli risposi che la Camera poteva già contare su di lui, un vero Campanella. “No, Stillitano – disse quasi offeso – io non sono Campanella, magari lo fossi. Il nostro concittadino è una meta, un ideale, un approdo di salvezza. Se uno pensa di averlo “raggiunto”, ha smesso di cercare, di sognare, di ripensare la sua esistenza, di riconoscere i suoi errori”. Concluse con una frase del filosofo: - «Noi siamo dentro il mondo come i vermi dentro il ventre umano, che non conoscono l’anima razionale che l’uomo governa, ma si pensano che sia un’insensata massa» -. Fu una lezione di vita esemplare, l’ultima che ascoltai perché tre mesi dopo sarebbe morto». Firpo iniziò ad interessarsi “a tempo pieno” del frate domenicano dopo la sua tesi di laurea, il cui titolo è Tommaso Campanella nell’unità del suo pensiero politico, filosofico e religioso.
In cinquant’anni di studi ha pubblicato oltre 100 saggi e ricerche in prestigiose riviste e periodici, come il «Giornale critico della filosofia italiana», il «Giornale storico della letteratura italiana» e «La Rassegna d’Italia» e altri. Tra le sue tante opere su Campanella non possiamo non ricordare Ricerche campanelliane, G. Bruno e T. Campanella, Scritti scelti, dove compare l’edizione critica de La Città del Sole, gli Opuscoli inediti, Tutte le opere, L’iconografia di Tommaso Campanella, l’Apologia di Campanella, Il supplizio di Tommaso Campanella, in cui, per la prima volta, compare il testo critico della Dichiarazione di Castelvetere (attuale Caulonia), della Prima e della Secunda delineatio defensionum, L’Informazione sopra la lettura delli processi e la Narrazione della istoria sopra cui fu appoggiata la favola della ribellione. Delle opere e dell’attività di ricerca e scientifica di Firpo si occupa, dal 1989, la fondazione omonima, che elargisce anche borse di studio ai giovani studiosi, organizza seminari e convegni e dispone di una ricca biblioteca, eredità dello studioso, dove sono conservati 33 mila volumi, di cui seimila appartenenti ad un inestimabile fondo antico.
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