13 maggio 2011
Masi lascia un’eredità di 320 milioni di debiti. E intanto si spende e si spande
Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera si lancia in un’operazione di livello: fa i conti in tasca a mamma Rai, con tanto di analisi di tutte le stupidaggini fatte dal direttore generale Mauro Masi in uscita
Che cosa fara’ Lorenza Lei? Il nuovo direttore generale della Rai – il primo di sesso femminile da quando, nel 1924 inizio’ a trasmettere l’Uri-Unione radiofonica italiana – ha un punto di forza nell’unanimita’ dei consensi ottenuti in consiglio di amministrazione e uno di debolezza nella brevita’ del mandato, un anno, in sostituzione del dimissionario Mauro Masi. Manager cresciuta dentro l’azienda, Lorenza Lei puo’ galleggiare fino alla scadenza, accontentando i partiti e magari anche i suoi sostenitori vaticani, a cominciare dal cardinale Bertone, per sperare in una riconferma piena, di durata triennale, oppure puo’ dire la verita’ e provare ad agire di conseguenza. E la verita’ e’ che la Rai sta marciando verso l’asfissia finanziaria e l’inconcludenza imprenditoriale con il beneplacito del governo di Silvio Berlusconi, tuttora padre-padrone del concorrente Mediaset.
L’esposizione debitoria è preoccupante:
Non siamo ancora al disastro dei primi anni ‘ 90, quando i debiti erano arrivati a 6 volte il capitale, ma la deriva e’ davvero preoccupante. Basta leggere in controluce il budget 2011. Il segnale piu’ allarmante e’ il debito. Che, al netto della poca liquidita’, salira’ quest’anno a 320 milioni di euro, se tutto va bene. Nel 2007, premier Romano Prodi, direttore generale Giorgio Cappon, la Rai aveva 16 milioni di debito e 127 di contanti e depositi bancari. Il peggioramento e’ evidente. Ma la sua gravita’ sta non tanto nelle cifre quanto nella loro qualita’. Il debito non e’ sempre un male.
Perché se viene usato per investimenti, fa bene alla società. A viale Mazzini che hanno fatto?
Vi si puo’ ricorrere per costruire impianti migliori, lanciare nuovi business, acquistare altre societa’. E’ quanto hanno fatto Sky Italia, che ha mandato la pay tv nelle case di 5 milioni di italiani, e Mediaset, che la sta inseguendo su questa strada e ha comprato il produttore di format tv Endemol e la casa cinematografica Medusa. Sky e Mediaset hanno debiti superiori alla Rai, ma hanno anche nuove fonti di reddito. Fanno impresa. E consegnano generosi dividendi ai soci. La Rai, invece, accumula debito senza distribuire dividendi perche’ non genera cassa, che in un’impresa televisiva pura com’e’ la Rai e’ la somma algebrica degli ammortamenti tecnici e del risultato netto d’esercizio, negativo per 180 milioni negli ultimi due anni. Nel 2009, annus horribilis per tutti, la Rai ha prodotto cassa per 49 milioni. Nella ripresina del 2010, per 4 milioni, dicasi 4.
E c’è qualche deriva pericolosa:
Il budget 2011 prevede di tornare sopra i 200 milioni, ma tagliando le spese di programmazione, mentre l’anno prima aveva rinviato parte degli investimenti tecnici. Nello stesso periodo, la Rai ha rallentato i pagamenti ai fornitori, recuperando, si fa per dire, 200 milioni di liquidita’. Ma quanto e’ credibile il budget 2011 che Mauro Masi lascia in eredita’, date le variazioni tra preventivi e consuntivi nel 2010 e la performance pubblicitaria gia’ deludente nei primi mesi dell’anno? Di questo passo l’azienda si condanna alla paralisi: o paga la programmazione corrente oppure investe per il domani, un’alternativa diabolica di fronte a colossi come Mediaset e Sky. Con la Grande Crisi, vengono al pettine i nodi irrisolti di questo Centauro, un po’ servizio pubblico e un po’ tv commerciale. La Rai ha si’ un problema di costi conclamato, ma anche due gravi handicap nei ricavi.
In più, Mucchetti ventila l’ennesimo effetto del conflitto d’interessi:
Rispetto al 2007, ultimo anno normale, la crisi ha fatto perdere alla Rai il 20 per centodei ricavi pubblicitari, mentre a Mediaset ha tolto solo un 7 per cento, che e’ meno della meta’ della media delle tv commerciali internazionali. Il valore economico reale del singolo punto percentuale della quota degli ascolti Rai e’ sceso da 29,2 milioni di euro del 2007 ai 24,9 del 2010. Lo stesso indicatore per Mediaset aumenta da 60,4 a 64,7 milioni. La divaricazione e’ tanto piu’ forte ove si consideri l’andamento degli ascolti, piu’ sfavorevole al Biscione. E’ ben possibile che alcuni grandi inserzionisti possano aver spostato quote di spesa pubblicitaria dalla Rai a Mediaset per simpatia o timore del premier. In fondo, e’ la stessa Mediaset a sottolineare il favore goduto presso i suoi primi 100 clienti. Ma piu’ ancora, nella caccia all’ultimo spot, conta lo svantaggio strutturale della Rai che puo’ mandare in onda un numero di spot assai piu’ limitato del concorrente, e dunque puo’ offrire proposte meno allettanti.
Poi c’è il problema del canone:
E’ questa un’asimmetria regolatoria dalle origini antiche (il ‘tetto Rai’ lo vollero gli editori negli anni Settanta per proteggere i giornali a prezzo amministrato, Berlusconi se lo e’ trovato), ma dagli effetti sempre piu’ penalizzanti nella sfida con la tv commerciale. La giustificazione del ‘tetto Rai’ e’ fin dall’origine il canone. Il canone Rai non e’ certo tra i piu’ alti d’Europa. Oggi concorre al finanziamenti di 16 canali. Per quanto molte siano le repliche, in Rai come altrove la produttivita’ e’ aumentata. Ma il canone e’ un ricavo sul quale l’azienda non ha giurisdizione, che viene aggiornato il meno possibile e senza regole. In piu’, il canone ordinario da’ un gettito inferiore al dovuto. L’evasione viaggia sul 28 per cento. Fosse ridotta alla media europea del 10 per cento, la Rai avrebbe 3-400 milioni di ricavi in piu’. E altre centinaia di milioni potrebbero venire dal canone speciale, evaso per il 90 per cento, che si dovrebbe applicare ad alberghi, locali pubblici, banche, aziende. Potrebbero venire, ma non verranno se il ministro delle Attivita’ produttive, Paolo Romani, proprio nei giorni scorsi ha deciso di soprassedere alla proposta di inserire il canone Rai nella bolletta Enel perche’ i programmi del servizio pubblico non lo convincono.
E infine ci sono i danni economici derivati dalla guerra a Sky per conto di Mediaset:
La battuta del ministro, storicamente legato al Biscione, e’ il segno di quanto sia cambiato il quadro competitivo.
Per molto tempo Silvio Berlusconi non ha disturbato piu’ di tanto la Rai, perche’ il duopolio collusivo gli garantiva l’esclusione di ogni altro concorrente dal mercato televisivo. Nel 1993, in una riunione del comitato corporate, che governava l’intero gruppo Fininvest, mentre si preparava la discesa in campo del capo, fu Gianni Letta in persona a placare i bollenti spiriti dei giovani dirigenti che avevano ‘scippato’ il Giro d’Italia alla Rai: non si sfida la tv pubblica per non provocarne la reazione, accontentiamoci di guadagnare di piu’.
Da qualche anno, con l’irruzione di Rupert Murdoch sulla scena, tutto cambia.
Dopo l’affermazione nella pay tv, Sky vuole entrare nella tv generalista in chiaro. Improvvisamente, il duopolio si scopre imperfetto.
E allora la Rai, tenuta smilza sul canone, fatica perfino a esaurire i suoi minori spazi pubblicitari e viene usata come un ascaro contro Sky: Masi non rinnova il contratto con la pay-tv di Murdoch per la trasmissione in chiaro dei canali digitali Rai, che avrebbe garantito 50-70 milioni l’anno per 7 anni, e si impegna nella costruzione di una piattaforma comune con il concorrente privato italiano per la tv a pagamento pur non avendone una.
Quando il gioco si fa duro, la vecchia linea di Letta diventa un lusso
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