di Marco Travaglio
Caro Cavaliere, siamo sempre noi: quelli che le han sempre detto tutto in faccia, mai dietro le spalle. Gli unici di cui può fidarsi. Dia retta: lasci perdere Giuliano Ferrara. Col suo bacio della morte, ne ha fatti secchi più lui che il colera. Ricorda il Pci? Ferrara c'era, sappiamo com'è finito. Ricorda Craxi? Ferrara c'era, sappiamo com'è finito.
Ricorda il primo governo Berlusconi? Lui c'era, ministro dei Rapporti col Parlamento e portavoce: sappiamo com'è finito, dopo sette mesi appena. Ricorda le elezioni al Mugello? Lui c'era: sappiamo com'è finita, centrodestra al 16% e Di Pietro in trionfo.
Ricorda la guerra in Iraq? Lui c'era, anzi era più bushiano di Bush, tant'è che le truppe angloamericane entrarono in Baghdad a bordo di Giuliano Ferrara: sappiamo com'è finita, una ritirata che Caporetto al confronto fu una marcia trionfale. Ricorda la lista No Aborto? Ferrara c'era: sappiamo com'è finita, più uova in faccia che voti. Non le rammento le percentuali d'ascolto da albumina dei programmi tv di Ferrara e i bilanci comatosi del Foglio, che ha più giornalisti che lettori, perché temo che lei li conosca meglio di me. Fra le grandi catastrofi del Novecento, Ferrara ha mancato soltanto il terremoto di Messina e l'ultimo viaggio del Titanic, ma non per cattiva volontà: perché non era ancora nato.
Per ulteriori informazioni rivolgersi alle ultime vittime dei suoi mortiferi effluvi: D'Alema, da lui sostenuto per il Quirinale (fu eletto Napolitano); Rutelli, da lui appoggiato per il Campidoglio (vinse Alemanno); Veltroni, da lui elogiato per il dialogo con lei (e ora disperso); Sarah Palin, da lui lanciata contro Obama (infatti...). Ancora quattro mesi fa, Fini aveva il vento in poppa, poi Ferrara pericolosamente gli si avvicinò e gli fece financo dei complimenti: non se n'è più riavuto, pover'uomo. Ultimamente, guardandosi intorno in cerca della prossima preda, non ha visto che una distesa di cadaveri.
Poi, in lontananza, ha scorto un solo uomo, diciamo un ometto, ancora in vita: lei, Cavaliere. E le si è avventato contro per completare l'opera. Ora le dà consigli, le scrive discorsi, le fa interviste decidendo le domande e le risposte (le ha fatto persino dire "sono un peccatore": ma come si permette?), monologa al Tg1 grazie alla momentanea assenza di giornalisti (infatti c'era la Petruni) e ora le organizza pure una strana manifestazione al Teatro Dal Verme (e dove, se no?), con mutande appese e testimonial del calibro di Ostellino e Sallusti (lo zio Tibia, quello che si crede Giovanni Rana e va in tv a conversare del più e del meno con Cavour e Garibaldi).
Il tutto per difendere i bungabunga "contro i puritani": lui che fino all'altroieri la menava con il Family Day e voleva addirittura obbligare le donne sterili a impiantarsi embrioni malati nell'utero.
Ecco, Cavaliere, non le viene il dubbio che Ferrara sia l'arma letale che le sganciano addosso i suoi nemici interni? Si guardi allo specchio, signor Presidente: fino a qualche settimana fa lei sguazzava nella discoteca del bungabunga con trenta-quaranta supergnocche da urlo e ora si aggira mesto fra un Ferrara, un Sallusti, un Signorini e un Brachino (c'era pure Brachino, abbiamo letto, all'ultimo vertice di Arcore: ma si rende conto, Brachino?).
Noi che ormai la capiamo al volo, abbiamo colto il significato profondo di quella sua frase, l'altro giorno: "Fosse per me, andrei per il mondo a fondare ospedali". Era un estremo, disperato tentativo di liberarsi della morsa di questi parassiti e saprofiti che le succhiano gli ultimi umori vitali. Se ne stanno lì come i secondi della boxe, appollaiati all'angolo a dare buoni consigli, mentre lei sul ring prende botte da orbi sempre più suonato e rintronato: "Vai Silvio che sei il migliore!", "Avanti così che è fatta!", "Ancora un destro e hai la vittoria in pugno!". Lo sanno benissimo che, se lei molla, devono trovarsi un lavoro, o un altro padrone. Dia retta a noi, li mandi a lavorare e se ne vada per il mondo a fondare ospedali.
Così magari, finalmente, la ricoverano.
L'INCHIESTA
La camorra nelle urne...I boss padroni del voto...Ecco come i clan organizzano la raccolta dei voti casa per casa e consentono rapide carriere ai politici legati ai clan ....
di ROBERTO SAVIANO
Autoritratto di un boss il libro mastro della camorra
Grand Hotel camorra la seconda parte del reportage"La camorra gestisce migliaia e migliaia di voti. Più la gente si allontana dalla politica, più sente che sono tutti uguali e tutti incapaci più noi riusciamo a comprare voti.
E noi puntavamo sul rinnovamento degli amministratori locali.
Abbiamo fatto eleggere quello che all'epoca fu il più giovane sindaco italiano: Alfredo Cicala sindaco di Melito.
Uscirono mille articoli su di lui, il giovane sindaco della Margherita, dicevano. Ma era un uomo nostro".
È l'ultimo colloquio con Maurizio Prestieri, il boss di Secondigliano che ha deciso di collaborare con la giustizia e da allora vive sotto protezione. E la storia che racconta, quella del sindaco di Melito, è una storia tragicamente comune in Campania.
Cicala, dopo il trionfo e qualche anno in carica, finisce in carcere, arrestato per associazione a delinquere di stampo camorristico: gli vengono sequestrati beni per 90 milioni di euro.
Una somma enorme per un sindaco di un paeso, impensabile poter guadagnare in breve tempo una cifra così grande e impensabile poter essere proprietario di interi agglomerati condominiali del suo territorio senza che dietro ci fossero i capitali dei clan.
In questo caso sono i soldi del narcotraffico dei Di Lauro-Prestieri. Ma Cicala non è uno qualunque: prima dell'arresto fa due carriere parallele, in politica e nel clan. Diventa membro del direttivo provinciale della Margherita e secondo le indagini riesce ad influenzare anche l'elezione successiva della giunta Di Gennaro, poi sciolta per infiltrazione mafiosa.
Chiamato dai camorristi "ò sindaco" è l'unico politico a poter presenziare alle riunioni dei boss. Naturalmente partecipa a diverse manifestazioni per la legalità contro la camorra e i camorristi (soprattutto contro le famiglie nemiche del suo clan).
Insomma: la personalità perfetta per coprire affari e governare un territorio.
L'inchiesta "Nemesi" della Dda di Napoli che indaga sul sistema elettorale a Melito descrive il clima del territorio come "la Chicago degli anni '30". Cicala diventa il candidato dei clan per sconfiggere Bernardino Tuccillo, candidato sindaco da un altro pezzo del centrosinistra.
Tuccillo è stimato, ascoltato, risoluto, è stato sindaco e la camorra cerca di boicottarlo in tutti i modi. Ha i mezzi per farlo. "Alcuni candidati - ha raccontato Tuccillo - venivano da me piangendo, supplicandomi di stracciare i moduli con l'accettazione delle loro candidature.
Altri, pallidi e impauriti, mi comunicavano che avevano dovuto far candidare le proprie mogli nello schieramento avversario".
Una mattina trovò i manifesti a lutto che annunciavano la sua scomparsa affissi per tutta la città di Melito.
Capì che era l'ultimo avviso. Come molti altri amministratori per bene campani Tuccillo fu lasciato solo dalla politica nazionale.
Ora nel Pd locale ci sono molti membri che sostennero e collaborarono con Alfredo Cicala.
Prestieri conosce bene la politica campana. "Per i politici durante la campagna elettorale la camorra diventa roba onesta, come un'istituzione senza la quale non puoi fare niente. Io mi ero fatto uno studio.
Uno studio elegante, avevo comperato antiquariato costoso, pezzi antichi d'archeologia, quadri importanti in gallerie dove andavano tutti i grandi manager italiani per arredare le loro case.
E la tappezzeria l'avevo fatta con le stoffe comprate dai decoratori che stavano tappezzando il teatro La Fenice di Venezia. In questo studio ricevevo le persone. Davo consigli, mi prendevo i nomi per le assunzioni da far fare ai nostri politici. Raccoglievo le lamentele delle persone.
Se avevi un problema lo risolvevi nel mio studio, non certo andando dai sindacati, dagli inesistenti sportelli al Comune.
Anche in questo la camorra è più efficiente. Ha una burocrazia dinamica".
Maurizio Prestieri in realtà viveva sempre meno a Napoli sempre più tra la Slovenia, l'Ucraina e la Spagna.
Ma non quando c'era il voto alle porte. Durante la campagna elettorale era necessaria la presenza del capo in zona. "Io provengo da una famiglia che votava Partito comunista, mio padre era un onestissimo lavoratore e quand'ero piccolo mi portava a tutte le manifestazioni, io mi ricordo i comizi di Berlinguer, le bandiere rosse, i pugni chiusi in cielo.
Ma poi siamo diventati tutti berlusconiani, tutti. Il mio clan ha sempre appoggiato prima Forza Italia, e poi il Popolo delle Libertà.
Non so com'è avvenuto il cambiamento, ma è stato naturale stare con chi vuole far fare i soldi e ti toglie tutti i problemi e le regole di mezzo".
Prestieri sa esattamente come si porta avanti una campagna elettorale. Dalle mie parti i camorristi chiamano i politici "i cavallucci" : sono solo persone su cui puntare per farli arrivare al Comune, alla Provincia, al Parlamento, al Senato, al Governo.
"Io una volta ho fatto anche il presidente di seggio, 11 anni fa. Noi facciamo campagna elettorale a seggi aperti, quando è vietato, non solo per convincere e comprare quelli che ancora non hanno votato, ma per farci vedere dalle persone che vanno a votare, come a dire: vi controlliamo.
A volte facevamo circolare la voce che in alcuni seggi mettevamo le telecamere: era una fesseria, ma le persone si intimorivano e non si facevano comprare da altri politici o convincere da qualche discorso".
La campagna elettorale è lunga ma i clan riescono a gestirla con l'intimidazione da una parte e il consenso ottenuto con un semplice scambio. "Io me li andavo a prendere uno per uno.
Ho portato vecchiette inferme in braccio al seggio pur di farle votare. Nessuno l'aveva mai fatto. Garantivo che i seggi negli ospedali funzionassero, pagavamo la spesa alle famiglie povere, le bollette ai pensionati, la prima mesata di fitto per le giovani coppie.
Dovevano tutti votare per noi e li compravamo con poco. Organizzavo le gite con i pulmini per andare a votare. I clan di Secondigliano pagano 50 euro a voto e spesso corrompendo il presidente di seggio capisci più o meno se qualche famiglia, dieci quindici persone, si è venduta a un altro.
Facevamo sentire la gente importante con un panino e una bolletta pagati. Se la democrazia è far partecipare la gente, noi siamo la democrazia perché andiamo da tutti. Poi questi ci votano e noi facciamo i cazzi nostri.
Appalti, piazze di spaccio, cemento, investimenti. Questo è il business".
Oggi Prestieri è quasi disgustato quando parla di queste cose, sente di aver giocato con l'anima delle persone, ed è una cosa che ti sporca dentro. E per la politica italiana ha un disprezzo totale, come tutti i camorristi.
Gli chiedo se aveva sempre e solo appoggiato i politici di una parte. Prestieri sorride: "Noi sì, a parte piccole eccezioni locali, come a Melito, ma la camorra si divide le zone e così si divide anche i politici. Ci scontravamo ogni volta con i Moccia che hanno sempre sostenuto il centrosinistra. Noi festeggiavamo alle elezioni politiche quando vinceva Berlusconi e loro festeggiavano alle comunali o regionali quando vincevano Bassolino e compagnia.
Napoli città è sempre stata di sinistra, e a noi ci faceva pure comodo, tutti quelli di estrema sinistra che a piazza Bellini o davanti all'Orientale fumavano hascisc e erba, o si compravano coca ci finanziavano.
Libertà, libertà contro il potere dicevano, contro il capitalismo e poi il fumo e la coca a tonnellate la compravano. Quindi quelli votavano pure a sinistra ma poi i loro soldi noi li usavamo per sostenere i nostri candidati del centrodestra".
Gli chiedo se ha mai incontrato politici di centrosinistra. "No, mai ma sono certo che il clan Moccia assieme ai Licciardi appoggia il centrosinistra, perché erano nostri rivali e quindi ne parlavamo continuamente tra noi e anche con loro della spartizione dei politici.
Noi ce la prendevamo con loro quando vinceva la sinistra, perché significava che per loro erano più affari, più appalti, più soldi, meno controllo". E politici di centrodestra, mai incontrati? "Sì certo, io sono stato per anni e anni un attivista di Forza Italia e poi del Pdl. Ho incontrato una delle personalità più importanti del Partito delle Libertà in Campania.
Non posso fare il nome perché c'è il segreto istruttorio, ma mi ricordo che nel marzo del 2001, pochi mesi prima delle elezioni, questa persona, seguita da una marea di gente, si fermò in Piazza della Libertà sotto casa mia. Ero affacciato al balcone, godendomi lo spettacolo della folla che lo seguiva (tutta opera nostra che avevamo spinto la gente ad acclamarlo), e questo politico, incurante perfino delle forze dell'ordine che lo scortavano, incominciò a salutarmi lanciando baci a scena aperta. Scesi e andai a salutarlo, ci abbracciammo e baciammo come parenti, mentre la folla acclamava questa scena.
Questa cosa mi piaceva perché non si vergognava di venire sotto la casa di un boss a chiedere voti e mi considerava un uomo di potere con cui dover parlare. Sapeva benissimo chi ero e cosa facevo. Ero stato già in galera avevo avuto due fratelli uccisi in una strage. Era nel mio quartiere, chiunque fosse di Napoli sapeva con chi aveva a che fare quando aveva a che fare con me.
Nel mio studio, invece, venne in quel periodo un noto ginecologo, una delle star della fecondazione artificiale in Italia. Quando si voleva candidare a sindaco venne ad offrirmi 150 milioni di lire in cambio di sostegno. Non potetti accettare poiché il clan già aveva già scelto un altro cavallo".
I politici sanno come ricambiare. Le strategie dipendono da che grado di coinvolgimento c'è con il clan. Se si è una diretta emanazione, non ci sarà appalto che non sarà dato ad imprese amiche.
Se il clan invece ha dato solo un "appoggio esterno", il politico ricambierà con assessori in posti chiave. Poi ci sono i politici che devono mantenere le distanze e quindi si limitano ad evitare il contrasto, a costruire zone franche o a generare eterni cantieri per foraggiare il clan e dargli il contentino. "Io mi sono sempre sentito amico della politica napoletana del centrodestra.
Per più di dieci anni ho avuto persino il permesso dei disabili avuto perché ero un sostenitore attivo del Pdl. In gergo di camorra quel pass noi lo chiamiamo il mongoloide. Con quello parcheggiavo dove volevo, quando c'erano le domeniche ecologiche giravo per tutta Napoli deserta. Bellissimo".
Padrone della coca, padrone della politica negli enti locali, il clan Di Lauro - Prestieri diventa sempre più ricco, trova nuovi ambiti di investimento: dalla Cina dove entra nel mercato del falso agli investimenti nella finanza.
C'era il problema di gestire i soldi, riciclarli, investirli. "Enzo, uno dei figli di Paolo Di Lauro col computer ci sapeva fare e spostava in un attimo soldi da una parte all'altra. E mi stupii una volta che c'era una nostra riunione, loro parlarono di acquistare un pacchetto di azioni della Microsoft.
Loro avevano un uomo in Svizzera, Pietro Virgilio, che gli faceva da collettore con le banche. Senza banche svizzere noi non saremmo esistiti".
Ma in realtà è proprio l'ascesa la causa della caduta. Tutto sembra mutare quando arriva l'attenzione nazionale su di loro, e arriva perché il clan ormai viaggia sempre di più, tra la Svizzera, la Spagna, l'Ucraina e Di Lauro affida tutto ai figli.
Questi tolgono autonomia ai dirigenti, ai capizona, che il padre considerava come liberi imprenditori. I figli gli tolgono capitali e decisioni e li mettono a stipendio. Si scindono. E scoppia una guerra feroce, un massacro in cui ci sono anche quattro morti al giorno. "Io lo dico sempre: non dovevamo essere Vip, ma Vipl". Vipl? Chiedo.
E cioè?
"Si la L sta per Local". Very Important Person, Local! L'importante è essere importanti solo nel recinto. "Il danno più grave che avete fatto scrivendo dei camorristi è che gli avete dato troppa luce.
Questo è stato il guaio. Se sei un Vipl a Scampia puoi sparare, vendere cocaina, mettere paura, avere il bar fico di tua proprietà, le femmine che ti guardano perché metti paura: insomma sei uno efficiente. Ma se mi metti sotto la luce di tutt'Italia il rischio è che la notorietà nazionale mi incrina quella locale, perché per l'Italia risulto un criminale e basta.
L'attenzione mi sputtana, dice che sono uno violento uno che fa affari sporchi e costringono pure magistrati e poliziotti ad agire velocemente, e non ci sono più mazzette che ti difendono".
Prestieri ha deciso di collaborare, però non parla di sé come di un pentito, ma come di un soldato che ha tradito il suo esercito.
"No, non sono un pentito, sarebbe troppo facile cancellare così quello che ho fatto, oggi sono solo una divisa sporca della camorra". Ma il peso di quello che ha fatto lo sente. "Le morti innocenti che faceva il mio gruppo mi sono rimaste dentro. Soprattutto una. C'era un ragazzo che dava fastidio a dei nostri imprenditori, gli imponeva assunzioni, gli rubava il cemento.
Dovevamo ucciderlo ma non sapevamo il nome. Solo dove abitava. Così uno che conosceva la sua faccia si apposta sotto casa con due killer.
Doveva stringere la mano alla vittima: quello era il segnale. Passa un'ora niente, passano due niente, esce poi un ragazzo, prende e stringe la mano al nostro uomo, al che i killer sparano subito ma questo urla "nunnn'è iss, nunn'è iss, non è lui!!" Inutile. Non solo è morto, ma poi tutti hanno detto che quel ragazzo era un camorrista, perché la camorra non sbaglia mai.
Solo noi sapevamo che non c'entrava nulla. Noi e la madre che si sgolava a ripetere che suo figlio era innocente.
Nessuno a Napoli le ha mai creduto. Io moralmente mi impegnerò nei prossimi mesi a fare giustizia di questo ragazzo, nei processi".
Chiunque entra in un'organizzazione criminale sa il suo destino. Carcere e morte. Ma Prestieri odia il carcere. Non è un boss abituato a vivere in un tugurio da latitante, sempre nascosto, sempre blindato.
È abituato alla bella vita. E probabilmente anche questo lo spinge a collaborare con la giustizia. "Il carcere è durissimo.
In Italia soprattutto. Noi tutti speravamo di essere detenuti in Spagna. Lì una volta al mese, se ti comporti bene, puoi stare con una donna, poi ci sono palestre, attività nel carcere. Se mi dici dieci anni in Spagna o cinque a Poggioreale, ti dico dieci in Spagna".
Così come il carcere di Santa Maria Capua Vetere a Caserta l'hanno costruito le imprese dei casalesi anche il carcere di Secondigliano l'hanno costruito le imprese dei clan di Secondigliano.
"Ce lo fecero visitare prima che il cantiere fosse consegnato. E ci scherzavamo. O' cinese qui finisci tu. O' Sicco su questa cella c'è già il tuo nome. Visitammo il carcere dove ognuno di noi poi sarebbe finito.
Ho fatto più di dieci anni di galera, e mai un giorno mi sono fatto il letto. Quando sei un capo della mafia italiana in qualsiasi carcere ti mandano, c'è sempre qualcuno che ti rifà il letto, ti cucina, ti fa le unghie e la barba. In carcere quando non sei nessuno è dura.
Ma alla fine tutti stiamo male in galera e tutti abbiamo paura. Io ho visto con i miei occhi Vallanzasca, che era un mito giusto perché al nord uomini mafiosi non li conoscono, quasi baciare le mani alle guardie.
Poverino, faceva una vita di merda totale in galera, era totalmente succube delle guardie. E io mi dicevo, questo è il mitico Vallanzasca di cui tutti avevano paura? Che si mette sull'attenti e mani dietro la schiena appena passa un secondino? Dopo dieci anni di galera in verità sei un agnellino, tutti tremiamo se sentiamo che stanno venendo i GOM, (gruppi operativi mobili) che quando qualcosa non va in carcere arrivano a mazziare".
Faccio l'ultima domanda, ed è la solita domanda che nei talk show pongono agli ex criminali.
Ridendo faccio il verso "Cosa direbbe ad un ragazzino che vuole diventare camorrista?
" Prestieri ride anche lui ma in maniera amara.
"Io non posso insegnare niente a nessuno. Sono tanti i motivi per cui uno diventa camorrista, e tra questi la miseria spesso è solo un alibi.
Ho la mia vita, la mia tragedia, i miei disastri, la mia famiglia da difendere, le mie colpe da scontare. Sono felice solo di una cosa, che i miei figli sono universitari, lontani da questo mondo, persone perbene. L'unica cosa pulita della mia vita".
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